Gentili lettori, gentili lettrici,
mentre si andava facendo questo numero riguardavo i testi di Piero Camporesi affascinante studioso della cultura materiale, del corpo e quindi anche del cibo attraverso quella letteratura, “bassa” e accademica, che da secoli indaga, descrive e fabula su quello che mangiamo.
A proposito del cacio a un certo punto si legge:
“Ogni casio è di cattivo nutrimento - osservava anzi predicava il fisico bressano Bartolomeo Boldo, commentatore e rifacitore del Libreto de tute le cose che si manzano communamente di Giovanni Michele Savonarola, gloria dello studio padovano e medico personale di d’Ercole d’Este - per essere difficile da digerire e per generar rutti acetosi e per impir lo stomaco di vento e per esser di difficile penetrazione: moltiplica il flegma e la colera nel stomaco, perché riceve dal coagulo l’acrimonia. E quanto più è vecchio, tanto più è acre e caldo e difficile da digerire…. L’altra cosa si dee considerare, che per mangiare sopra gli altri cibi come sopra ad alcune minestre e in poca quantità e col pane dopo pasto secondo alcuni non si vitupera: perché conforta la bocca dello stomaco, costringe tutto il cibo e conferisce alla elevazione dei vapori del capo…. La ricotta, chiamata latinamente caseus secondarius è peggiore che non il latte fresco; nondimeno se è fresca e calda, ad alcuni è grata, specialmente condita con un poco d’acqua rosa; e appresso d’alcuni messa nei sacchetti così fresca è buona materia insieme al casio fresco a far de gli impiumi…[1].”
Lettura assolutamente accattivante, quasi saporosa che testimoniando che sono secoli che si discetta di cosa e quanto mangiare, di cosa fa bene e cosa no e anche di come mangiare; che ciò che mettiamo dentro è questione delicata fra la gioia e il sospetto e comunque con l’intenzione di vivere bene e forse anche a lungo.
Ma prima di leggere l’intrigante Camporesi, provate, per favore, a leggere questo numero!
Grazie e cordiali saluti,
Francesco Caggio
[1] Piero Camporesi, Le officine dei sensi, Milano, Garzanti, 1985, pag. 70/71, nota n. 72.